Le ceramiche dei Sultani

Una delle attrazioni più visitate di Istanbul è la moschea del Sultano Ahmet, presentata ai turisti come “la Moschea Blu”.

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Le ceramiche dei Sultani

 

Una delle attrazioni più visitate di Istanbul è la moschea del Sultano Ahmet, presentata ai turisti come “la Moschea Blu”.

Immancabilmente, quando le comitive arrivano nella piazza dell’ippodromo, dove sorge la maestosa moschea con i suoi sei minareti, qualcuno esclama “Ma non è blu!”

E’ solo quando entrano  che la magnificenza delle ceramiche a colori blu che ne rivestono l’interno spiega il nome turistico della moschea più famosa del mondo.

Ventimila piastrelle di ceramica, decorate con più di 50 motivi diversi di tulipani, nel blu cobalto tipico dello stile di Iznik, riflettono i giochi di luce creati dalle ampie finestre, e danno alla moschea l’atmosfera che l’ha resa famosa.

Iznik, l’antica Nicéa, è una cittadina in provincia di Bursa, sulla costa meridionale del mare di Marmara, di fronte a Istanbul.

Ebbe i suoi momenti di gloria durante i due famosi concìli di Nicéa, quando i vescovi cristiani si riunirono per decidere sulla forma da dare alla Chiesa Cattolica e per ammettere il culto delle icone.

Con la decadenza dell’Impero Bizantino, la città cadde in rovina.

Ma quando era stata la capitale dei Selgiùchidi, era diventata un centro di produzione artistica.

Le prime ceramiche di Iznik erano prodotte con tecniche relativamente semplici, con l’applicazione del colore su pezzi non ancora asciutti, perché impregnassero l’impasto e resistessero alla cottura.

Con l’ascesa degli Ottomàni, Iznik diventò la capitale del loro emirato e dopo la conquista di Costantinopoli, fu praticamente abbandonata.

Ma l’ascesa dell’Impero Ottomano sarebbe stata l’occasione di una rinascita artistica che avrebbe reso il suo nome famoso in tutto il mondo.

Il nuovo Impero dei Sultani diventò il passaggio obbligato dei traffici tra l’Europa e l’Oriente. Le ricchezze accumulate permisero la rinascita di Costantinopoli e nuove costruzioni monumentali.

Tra i beni esotici che arrivavano dall’Asia c’erano le già famose porcellane cinesi.

Il loro stile e la qualità inimitabile le rendeva molto apprezzate alla corte dei Sultani.

Al di fuori della Cina, nessuno sapeva come produrre porcellane di qualità. Anche le più raffinate ceramiche  non erano paragonabili alle forme, ai colori brillanti e soprattutto alla resistenza al calore e agli urti di prodotti così sottili.

Solo nel Diciottesimo secolo l’Europa avrebbe scoperto il loro segreto: il caolìno, un minerale molto diffuso in Cina che era una parte determinante della materia prima usata dai vasai cinesi.

Ma per secoli i monarchi e i ricchi europei dovettero accontentarsi delle porcellane che sopravvivevano all’infernale viaggio dall’Oriente, a dorso di cammello e via mare.

La corte dell’Impero Persiano era famosa per le sue collezioni di porcellane cinesi e quando sulla strada delle merci asiatiche nacque il nuovo Impero Ottomano, le collezioni dei Sultani non furono seconde a nessuno.

Ma la domanda ovviamente era molto superiore all’offerta e i prezzi erano astronomici.

I vasai di Iznik si ingegnarono per restare su un mercato diventato così redditizio, e trovarono alcune soluzioni tecniche ed altre artistiche.

Importarono la tecnica mediorientale che usava la cosiddetta “fritta”, una pasta di quarzo e terracotta mescolata a framenti di vetro. Durante la cottura, il vetro fondeva e amalgamàva l’impasto, producendo quella che viene chiamata “ceramica vìtrea”.

Era una tecnica già diffusa ma i maestri di Iznik impararono a ottenere ceramiche a sfondo bianco, come le ambìte porcellane cinesi.

Nonostante la durezza e la resistenza, queste tecniche producevano impasti  poco elastici, difficili da lavorare.

Mentre questo non era un problema per le piastrelle, rendeva molto difficile produrre vasi o caraffe.

La soluzione fu di produrre parti diverse e poi unirle a caldo con la pasta di “fritta”. L’effetto ottenuto fu di ciotole, caraffe e vasi leggermente angolati, in uno stile originale apprezzato ancora oggi.

Il colore principale delle decorazioni era il blu, ottenuto dal cobalto importato dalla Persia, ma man mano che la produzione diventava più sofisticata, si aggiunsero il turchese, ottenuto dal “verderame”, ossido di rame, e il porpora, con l’ossido di manganese.

Durante questo periodo, nel Quindicesimo secolo, l’evoluzione delle ceramiche di Iznik fu quella di un prodotto originale, appartenente alla nascente cultura ottomana, non una semplice imitazione dei prodotti cinesi alla moda.

E quando i maestri vasai impararono a usare e dosare l’ossido di ferro per ottenere il rosso brillante che ancora oggi rende uniche le decorazioni in ceramiche di Iznik, cominciò il periodo d’oro, che coincìse con il regno di Suleyman il Magnifico.

Il blu divenne più brillante, e gli stili si moltiplicarono. Le decorazioni venivano applicate prima della cottura, quando il manufatto era asciutto, di solito a mano libera.

Ma i disegni diventarono più complicati, molto stilizzati, e soprattutto la richiesta aumentò a dismisura: i disegni più famosi venivano riprodotti centinaia di volte con stampi.

Le costruzioni monumentali del Sultano richiedevano piastrelle decorative. Alle ventimila della sola Moschea Blu si aggiungevano quelle per le altre moschee, il palazzo Topkapi, e gli ordini dei privati.

Le piastrelle decorate con motivi floreali, specialmente con i simbolici tulipani, diventarono il prodotto principale di Iznik.

Poi, quando ormai tutti i monumenti principali dell’Impero Ottomano portavano come un marchio di bellezza ed eleganza i colori delle ceramiche di Iznik, arrivò il declino.

La via dell’Oriente non passava più solo per il Mediterraneo: le navi europee trafficavano regolarmente con la Cina, e le pregiate porcellane potevano finalmente invadere i mercati.

I maestri di Iznik, che non erano più sostenuti da nuove costruzioni imperiali, faticarono ad adattarsi.

I prezzi imposti per combattere l’inflazione abbassarono il loro tenòre di vita, e la concorrenza dei prodotti importati offriva alternative economiche.

La moda era cambiata e le nuove generazioni di vasai non seppero evolversi, o non trovarono convenienza a farlo.

La produzione di ceramiche, di qualità molto diversa, continuò e si spostò a Kütahya, poco lontano, dove dura ancora oggi.

Tutti i negozi turistici in Turchia, compreso il Gran Bazar di Istanbul, vendono imitazioni moderne delle famose ceramiche: la maggior parte viene prodotta a Kütahya.

Iznik oggi è una tranquilla cittadina di ventiduemila abitanti, dove la maggiore attrazione turistica sono i resti delle mura. Ben poco rimane visibile della sua gloria passata, ma il suo nome e l’estro dei suoi artigiani resteranno nella Storia, legati per sempre allo splendore dell’Impero Ottomano.

 

 



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