Attraversare la Turchia a piedi

284123
Attraversare la Turchia a piedi

Attraversare la Turchia a piedi
L’immagine della Turchia come ponte tra Oriente e Occidente è una metàfora così abusata da sembrare banale, ma per millenni non è stata solo un’immagine figurata.
Per chi non potesse permettersi un costoso viaggio per mare, l’unico modo di spostarsi tra Oriente e Occidente era sul ponte di terra dell’Anatolia.
Questo fece la fortuna dei mercanti e degli Stati che controllavano il passaggio, e per questo la regione è sempre stata contesa tra gli imperi confinanti.
Ma non erano solo i mercanti ad attraversare l’Anatolia, anzi: per trasportare merci la via del mare era più conveniente, più rapida e più sicura delle strade infestate da briganti.
Invece i pellegrini, spesso poveri o comunque votati ad un viaggio frugàle, dovevano contare sull’ospitalità e l’aiuto di chi incontravano, e la via verso Gerusalemme attraversava la Turchia.
Era una strada lunga da percorrere a piedi: la Turchia è grande.
La distanza tra Edirne, al confine con la Bulgaria, e Hakkari, al confine con l’Iran, è di duemila kilometri: quanto da Milano a Kiev.
Anche ai giorni nostri, con strade sicure e ben mantenute, alberghi e locande lungo le strade, è una distanza notevole.
Eppure una signora italiana di 63 anni e la sua amica portoghese la stanno percorrendo a piedi.
Partite da Istanbul alla fine di aprile, hanno attraversato il Lago Salato e sono in Cappadocia, dirette a Mersin, sul Mediterraneo.
Maria Corno, autrice di libri scolastici, e la sua amica Judite Grasa, insegnante, non sono nuove a queste imprese.
Si sono incontrate e sono diventate compagne di viaggio mentre camminavano entrambe sulla “Via Francìgena”, uno dei cammini medievali che dalla Francia portavano a Roma, méta di pellegrinaggi.
Prima avevano entrambe percorso i vari Cammini di Compostèla in Spagna, Portogallo e Francia, e la Via Egnàzia, da Durazzo in Albanìa a Istanbul.
Proprio percorrendo la Via Egnàzia, nel 2014, hanno avuto l’idea di proseguire sulla via che i pellegrini antichi percorrevano per raggiungere Gerusalemme e la Terra Santa.
Quest’anno, il 24 Aprile, hanno attraversato il Bosforo e sono entrate in Anatolia.
Purtroppo la tragica situazione politica del Medio Oriente, con la Siria e parte del Libano impraticabili, le ha costrette a cambiare obiettivo: sono dirette a Mersin, vicino all’antica Tarso, da dove comunque i pellegrini si imbarcavano per Cipro e da lì per la Terrasanta.
Per Maria, camminare significa ritrovare un equilibrio tra mente e corpo, con il lavoro fisico e la mente che assorbe il lento flusso del paesaggio e dei pensieri che scorrono. Per Judite è soprattutto un modo di viaggiare, di vedere veramente il mondo, di scoprire la fiducia nelle persone che incontra.
Non a caso, raccontano, in tutte le religioni e le pratiche spirituali esiste il pellegrinaggio, il viaggio senza comodità verso una meta comune.
Soprattutto, secondo loro, camminare rende inevitabile “esplorare”: viaggiando senza veicolo, senza comodità, senza affidarsi ad un autista o una guida turistica, significa dover contare sulle risorse del posto, sulle persone che si incontrano per strada.
Per questo occorre adattarsi, capire e farsi capire, e non solo con la lingua.
Maria fece un viaggio in Turchia con la famiglia tanti anni fa e si innamorò del Paese, al punto da voler studiare il Turco. Oggi lo ricorda poco, ma riesce a farsi capire, e ad aiutare Judite.
Le due signore possono contare sull’aiuto telefonico di Caterina, la figlia di Maria, un’antropologa del Massachussets Institute of Technology che sta facendo una ricerca in Turchia e parla perfettamente la lingua.
Caterina è stata la motivazione decisiva per intraprendere il viaggio: per una madre raggiungere la figlia lontana, per giunta a piedi, è una tentazione irresistibile.
La lingua non è l’unico problema che due donne sole possono avere attraversando la Turchia a piedi.
Ma a testimonianza della proverbiale ospitalità turca, le due signore raccontano che mai si sono sentite in pericolo, al contrario gli abitanti dei villaggi che hanno attraversato hanno sempre fatto a gara ad aiutarle e a proteggerle.
Solo una volta due giovinastri le hanno importunate, e immediatamente una contadina che pascolava le sue mucche è intervenuta ad aiutarle.
In un’altra occasione, due funzionari le hanno avvisate del pericolo dei cani randagi e le hanno scortate fino al villaggio più vicino.
La strada che hanno scelto di percorrere attraversa l’Anatolia profonda, zone che i turisti non vedranno mai, anche perché agli occhi di un turista non ci sono attrazioni da visitare.
E’ anche la Turchia più vera, quella che persino molti Turchi che ormai vivono nelle grandi città visitano raramente.
In molti dei villaggi che attraversano gli abitanti non hanno mai incontrato uno straniero, tanto meno donne straniere che viaggiano a piedi chiedendo ospitalità dove capita.
Viaggiare come donne sole, infatti, non comporta solo rischi, ma anche vantaggi: le donne dei villaggi non sono intimidìte da loro, si fermano a chiedere dove siano dirette, a cercare punti di contatto.
Maria e Judite non hanno tenda, raramente trovano alberghi: dormono dove capita, con sacco a pelo e materassino, dove gli viene offerto un tetto.
Ad ogni tappa condividono una parte delle vite di chi li ospita: situazioni familiari, album di foto di ricordi, piatti tradizionali.
Nonostante i tanti viaggi fatti in precedenza, stanno collezionando ricordi e avventure memorabili.
Nei pressi di Iznik, una macchina le ha superate salutando col clackson, poi si è fermata: un giovane è sceso sorridendo, ha raccontato che anche lui ha camminato per due mesi in Indonesia, zaino in spalla.
Prima di ripartire, ha voluto regalare alle amiche camminatrici un sacchetto di nocciole e un vasetto di miele che produce col socio sul Mar Nero.
Al villaggio di Nasrettin Hoca, dove non hanno trovato albergo, una famiglia che aveva amici in visita le ha viste sulla strada e le ha invitate ad unirsi a loro, fino al bagno nelle antiche terme romane in mezzo alla campagna.
In un altro villaggio, dove non hanno trovato ospitalità, la polizia ha aperto loro la palestra, e ha procurato materassi e offerto la cena.
Una volta, ospiti di una famiglia che aveva dato loro una stanza, sono state svegliate appena andate a dormire: i vicini avevano sentito la loro storia, e volevano partecipare all’ospitalità, portando pane, formaggio e dolcetti per la colazione.
Maria e Judite, ormai in Cappadocia e vicine alla fine del viaggio, raccontano queste storie e si dicono dispiaciute perché secondo loro è impossibile ricambiare tanta gentilezza e ospitalità di tante persone.
Ma si sbagliano: c’è sempre un modo per ricambiare, ed è raccontare la storia del loro viaggio e delle persone che le hanno ospitate.


etichetta:

NOTIZIE CORRELATE