Turchia chiama Italia

A gonfie vele al Museo Rahmi Koç - Bruno Cianci

1427312
Turchia chiama Italia

Dopo mesi di lock-down il primo giugno la Turchia è entrata ufficialmente nel vivo del processo di normalizzazione da Covid-19 e di ripristino di tutte le attività lavorative e sociali. In questo quadro rientra anche la riapertura di luoghi culturali e di attrazione turistica. Con la dovuta attenzione nell’applicare norme di distanziamento sociale, ogni museo è, dunque, in procinto di aprire nuovamente le proprie porte ai visitatori e condurli alla scoperta dei tesori storici e artistici. Il patrimonio culturale turco è molto vasto e variegato, in totale si contano più di 500 musei, segno non solo della profondità storica e spirituale del Paese, ma anche della diffusa sensibilità a preservare e conservare ogni traccia del percorso compiuto in ogni settore. Bruno Cianci, consulente per la comunicazione internazionale del Museo Rahmi M. Koç, conferma che entro queste mese verranno ripristinate gradualmente le normali attività. ‘In prima battuta verrà riaperto il museo di Ayvalık, mentre sembra che per i centri di Istanbul e Ankara bisognerà attendere qualche giorno in più’. La sua è certamente una voce autorevole da cui, tuttavia, trapela una legittima riflessione. ‘Mi domando di continuo a che cosa porterà questa nuova crisi dovuta al Covid-19’, esordisce Cianci, consapevole che con la pandemia sono cambiate molte dinamiche. Una crisi globale che porta con se’ gli effetti domino del vivere interconnessi e in un sistema integrato, le cui conseguenze potrebbero ricadere su ciascuno nel proprio piccolo. Nel suo cammino professionale Bruno Cianci sa bene cosa significhi vivere l’impatto delle crisi. Giornalista, scrittore e consulente, le strade percorse sono state diverse, marcate da incontri importanti, ma non sempre facili.   ‘Il mio percorso è stato assai tortuoso. Fu il grande giornalista Gino Rancati a insinuare in me il tarlo del giornalismo. Tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90 iniziammo a scambiarci lettere vergate a mano – lui a quel tempo dirigeva “Auto In Vogue”, rivista che leggevo avidamente – e in una di queste missive mi esortò a chiare lettere a fare il giornalista. Nonostante l’autorevolezza del personaggio non presi in considerazione l’idea di intraprendere questa carriera, tant’è che quando mi iscrissi all’università scelsi Scienze Politiche per tenermi aperte più porte. Nel 2000, poi, un altro grande giornalista, Riccardo Notarbartolo di Villarosa, mi fece scrivere il primo articolo su “Arte Navale”, la più bella rivista di nautica mai esistita. Dopo un paio d’anni da collaboratore mi assunse come redattore; poco a poco diventai caporedattore, poi co-direttore e così, poco a poco, mi feci un certo nome nell’ambiente del giornalismo nautico’, racconta Bruno, ammettendo che l’idea di poter guadagnare di più l’ha condotto verso il settore della comunicazione. Dopo una breve parentesi tornò alla scrittura e non smise più; sebbene avesse dovuto affiancare la scrittura ad altre attività, come quella di consulente, ‘perché solo pochi eletti hanno il privilegio di vivere di giornalismo, a maggior ragione dopo la crisi globale del 2008’, ammette con il realismo tipico di chi sa che in certi ambienti le logiche possono essere tanto feroci quanto poco meritocratiche. Per quanto difficile possa essere, tuttavia, coltivare le proprie passioni ha sempre un effetto salvifico. E’ così l’interesse per la nautica, nato sin da giovanissimo, è stato il filo conduttore delle sue scelte professionali e, in un certo senso, anche di vita. ‘La mia passione per la nautica è nata il giorno in cui uscii per la prima volta a vela, ai tempi abitavo a Udine con la mia famiglia, negli anni ’70. Avevamo un cabinato di modeste dimensioni, ma dotato di tre cuccette. Non ricordo l’anno esatto, ma direi che la barca è diventata parte integrante della nostra vita un paio d’anni dopo il terremoto del Friuli del 1976, evento di cui ho un ricordo vivissimo, nonostante avessi solo cinque anni. Per più di un lustro, da primavera a settembre inoltrato, nei week-end io e mio padre salivamo sulla sua spider per recarci a Lignano, dove stava la barca. Di solito uscivamo noi due soltanto; altre volte si univano mia mamma e mia sorella. C’era sempre poco vento, ma il divertimento era assicurato’. Ricordi impressi nella memoria, quelli che riscaldano il cuore e che, rimarcando un importante senso di appartenenza e di crescita personale, sigillano l’inizio di un amore. ‘Questa piccola barca di nome Idéfix fu la scintilla. Altre cose, poi, rafforzarono il mio interesse nei confronti del mare e delle sue sfaccettature: innanzitutto la passione per la storia della navigazione, delle scoperte geografiche e per la cartografia. Come se non bastasse, poi, mio padre iniziò a regalarmi alcune bandiere navali e mercantili che acquistava in giro per il mondo, da Amburgo a Londra, agli Stati Uniti: fu così che mi “ammalai” anche di vessillologia, la disciplina che studia le bandiere’, racconta il dottor Cianci che ormai da molti anni vive a Istanbul, dove continua a nutrire le proprie passioni. ‘Sono venuto in Turchia perché volevo e dovevo cambiare vita. La routine milanese e l’assenza di meritocrazia del sistema italiano mi stava abbruttendo nello spirito e nei comportamenti, al punto che stentavo a riconoscermi. Quando mi fu offerto un lavoro in Turchia da parte di un cantiere navale in cerca di un addetto stampa, non ci pensai un secondo, soprattutto perché già conoscevo la Turchia per averla frequentata negli anni ’90, ai tempi in cui mio padre ci abitava e lavorava. Non avevo alcuna certezza che sarei andato a stare meglio in un nuovo Paese, ma la voglia di cambiamento e la tentazione erano troppo forti per farmeli scappare, e così accettai. Tempo tre mesi e mi trovai con tutti i miei mobili, venticinque scatoloni di libri e gli altri effetti personali in Turchia, dove avevo già diversi amici e dove ebbi la fortuna di conoscere la mia attuale moglie’, ammette. E così la Turchia diviene lo scenario di nuovi amori e di nuove esperienze lavorative dai risvolti importanti. Nel maggio 2010 Bruno Cianci inizia a lavorare presso il Museo Rahmi Koç, proprio a seguito di un incontro con il suo fondatore. ‘Avevo conosciuto Rahmi M. Koç di persona nel 2003, in occasione di un’intervista per “Arte Navale”. Mi ricevette sulla sua barca di allora, Nazenin 4, poi sostituita dalla numero 5 di cui è tuttora armatore. Stupito dal fatto che un museo così straordinario non avesse alcun tipo di visibilità sulla stampa estera, proposi a “Rahmi Bey” di potermi occupare personalmente della cosa. Mi dette una chance: mi fece “International Press Advisor” e credo sia rimasto molto felice di quel che ho fatto, giacché negli ultimi dieci anni il museo non solo ha occupato sempre più spazio sulle principali guide turistiche, ma è comparso in oltre 350 articoli in una trentina di Paesi, su molte copertine e persino in una produzione hollywoodiana con Viggo Mortensen’, aggiunge orgoglioso. Traguardi notevoli, che accrescono la motivazione, la credibilità del professionista a livello internazionale e l’intesa con il committente. ‘Anche grazie al mio lavoro il numero di visitatori stranieri, quelli che mi riguardano da vicino, è aumentato di dodici volte dal 2010 e questo è per me un bel biglietto da visita. Con Rahmi Koç ho un rapporto diretto e schietto. Quando ho un’idea, io gliela propongo: se gli piace si procede e la si porta avanti, se non gli piace mi dice di no e la cosa finisce lì. Per ora mi ha detto di no raramente, segno che tra noi c’è intesa, comunanza d’interessi e di passioni’, confida Bruno con una certa sicurezza. In fondo non ci vuole molto a riconoscere la stoffa dell’esperto, soprattutto quando a confermarla interviene un curriculum d’eccezione. Articoli, pubblicazioni, monografie, l’expertise del dottor Cianci trova riscontro in molti dei suoi scritti noti anche a livello internazionale. ‘Come giornalista, ho firmato un migliaio di articoli che sono stati pubblicati in dodici lingue, compresi l’ungherese e l’albanese, idiomi che ovviamente non parlo. A oggi i libri pubblicati sono dieci, di cui alcuni tradotti in inglese e francese. La mia prima grande fatica letteraria è “Le navi della Mezzaluna. La marina dell’Impero ottomano (1299-1923)”, volume pubblicato da Odoya nel 2015. Mi ci sono voluti più di sei anni per scriverlo e devo dire che mi ha dato grandi soddisfazioni a livello di critica; un po’ meno a livello economico, ma certi lavori non li si fanno di certo per arricchirsi. L’idea è nata dall’assenza di uno studio esaustivo sull’argomento: nessuno, nemmeno in Turchia, aveva mai pubblicato nulla di simile e così mi sono messo a studiare, a scartabellare e a scrivere io il libro che avrei sempre voluto leggere. Un paio d’anni prima di consegnare all’editore il mio scritto, scoprii che uno storico francese, Daniel Panzac, stava scrivendo qualcosa di simile. Ci rimasi malissimo perché pensai di avere buttato via il mio tempo, ma quando acquistai quel volume scoprii che il mio ben più illustre collega aveva preso in esame un periodo più ristretto rispetto al mio, e così tirai un sospiro di sollievo. Non avrei certo potuto competere con un “mostro sacro” come Panzac il quale, peraltro, morì dopo qualche tempo, non prima di avermi aiutato via email a risolvere alcuni quesiti che mi affliggevano. Non l’ho conosciuto di persona, ma ne mantengo un gran bel ricordo perché non tutti gli accademici sono propensi a dividere le proprie conoscenze’, riconosce Cianci elencando i suoi contributi nel settore nautico. ‘Un altro volume di storia turca da me firmato è “Bosforo. Via d’acqua fra Oriente e Occidente”. Il libro, uscito nella primavera del 2017, edito da Mattioli 1885, analizza il Bosforo da vari punti di vista: geologico, storico-militare, diplomatico, artistico e sociale. In questo caso la critica è stata addirittura migliore rispetto al volume sulla marina ottomana. Con mia sorpresa il libro è stato anche adottato dalla Sapienza di Roma come testo di studio: una bella gratificazione per chi fa cultura e investe anni del proprio tempo senza mai ottenere nulla in cambio’. Alte soddisfazioni che, si sa, per gli intellettuali spesso, oltre a essere fonte di remunerazione emotiva, sono anche il motore per continuare nelle ricerche e nella propria produzione. Oggi Bruno Cianci ha in cantiere altre opere, sebbene vi sia la preoccupazione sullo stato dell’editoria nel post-coronavirus: ‘non oso immaginare che tipo di scossone potrà dare al già precario stato in cui versano le case editrici italiane questo maledetto virus. Se tutto va come immagino ma non mi auguro, credo che non pubblicherò altro prima di qualche anno. Mi mancherà molto scrivere libri: nulla mi gratifica tanto quanto concepire, strutturare, scrivere e vendere l’idea di un nuovo libro a un editore’, sussurra con una punta di malcontento. In questo momento così atipico e strano per tutti, certamente vivere in una cornice magica solleva gli animi e aiuta lo spirito. Il richiamo dell’acqua è senza dubbio una condizione imprescindibile per chi si occupa di vasselli, ma l’incantesimo avviene quando tutto è racchiuso in uno scenario sospeso nel tempo, incontro di culture e pietra miliare di avvenimenti storici. ‘Quando guardo il Bosforo ne percepisco tutta la forza, il mistero e la magia. Ogni tanto chiudo gli occhi e cerco di immaginarmi come sarebbe a secco di acqua, o con il livello più alto del dovuto, con la corrente invertita e via dicendo. Me lo immagino e lo sogno in tutte le salse. Nel 2017 ho voluto scrivere “Bosforo” perché volevo ribaltare la consueta prospettiva che vede questa via d’acqua alla stregua di un Tevere o di una Senna qualsiasi. Guardate quanti riferimenti al Bosforo ci sono negli indici dei libri su Istanbul: spesso si contano sulle dita di una mano o due: eppure essi dovrebbero essere centinaia, perché senza il Bosforo non ci sarebbero state Crisopoli (Üsküdar) né Calcedonia (Kadıköy) né Bisanzio, Nuova Roma, Costantinopoli e Istanbul. Il Bosforo non è quel che è perché attraversa Istanbul: è Istanbul quel che è perché è attraversata dal Bosforo. C’è una bella differenza’, afferma risoluto Cianci, aggiungendo: ‘nel complesso, Istanbul è una città magica, bella in tutte le stagioni - amo in modo particolare l’autunno - e interessante ovunque, fatta eccezione per alcuni quartieri dell’entroterra che offrono poco o nulla di storico. Data la natura del lavoro di mio padre, non ho mai vissuto nella stessa città per più di qualche anno, per cui mi sono abituato a traslocare spesso e senza troppi patemi. Ciononostante, di Istanbul - che frequento stabilmente dal 2008 - non riesco a stancarmi nonostante i suoi difetti, dei quali il traffico è il peggiore. Non guido quasi mai da queste parti, ma farlo anche solo una o due volte al mese basta a farmi passare buona parte della poesia. Mi manca un po’ la Turchia degli anni ’90, poco sviluppata, più rurale e assai meno frenetica. Non dimenticherò mai i viaggi in auto con mio padre compiuti in quel periodo, quando da Istanbul a Bodrum ci volevano venti ore d’auto’. Un Paese in trasformazione questa Turchia che, pur cambiata in tempi più recenti, non perde il proprio dinamismo e la propria inclinazione all’innovazione. Un Paese variegato, dai tanti volti e dalle infinite sfumature, che conserva emozioni e cristallizza i ricordi più belli. ‘Posso certamente dire che qui mi sento a casa, pur avendo i genitori, una sorella e due nipoti in Italia. Mi sono fatto una famiglia qui, ho dei suoceri, un cognato, una moglie e una bimba che mi adorano, per cui è naturale che la mia casa adesso sia qui. Nei primi anni di Turchia mi si apriva il cuore quando atterravo alla Malpensa, segno che la mia casa stava ancora nello Stivale. Ora, invece, succede il contrario: provo una gran gioia quando atterro a Istanbul. È una sensazione che molti altri espatriati avranno provato di sicuro. Non escludo di rientrare in Italia, un giorno, ma lo farò soltanto se mi si presenterà un’occasione di lavoro irrinunciabile, oppure qualcosa di stimolante, tipo una borsa di ricercatore. Con ogni probabilità trascorrerò ancora un po’ di anni in Turchia; poi chissà…’. In fondo anche se tutto e’ kismet, non possiamo che augurare di continuare a procedere a gonfie vele e con il vento in poppa. Rüzgarınız kolayına olsun!

 

A cura di Valeria Giannotta



NOTIZIE CORRELATE