Turchia chiama Italia

Mamma li Turchi

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Turchia chiama Italia

Chi viaggia nel sud d’Italia e’ inevitabilmente attratto da un certo simbolismo che riconduce al vicino oriente e alla Turchia. Molti i riferimenti ai Saraceni e alle loro invasioni, dove per ‘saraceno’ si intendeva genericamente colui che proveniva dal Medio Oriente o chi era di religione musulmana. Nel corso del tempo questo termine e’ stato sostituito dal riferimento ai ‘Mori’, perche’ di pelle scura, o ai ‘Turchi’.  E’ a questo punto che nella tradizione popolare si e’ imposto il detto ‘Mamma li Turchi’, allora usato per indicare il pericolo imminente delle incursioni di genti straniere, e oggi ancora in auge con una sorta di accezione negativa. ‘All’armi, all’armi: la campana sona li Turchi sono sbarcati alla marina. Chi  ci ha le scarpe rotte l’arisola che noi dobbiamo far lungo cammino. Da Malta son partite sei galere; a tutte e sei l’onore del mare . Il Capitano avanti e gli altri dietro la guerra conro i Turchi vanno a fare’, diventa un canto popolare  che rievoca lo sgomento nel fronteggiare le incursioni. Diffuso in tutto il Meridione, e non solo, un tale stupore si e’ cristallizzato nella memoria collettiva. Intorno alla meta’ del  IX secolo, infatti, i Saraceni fecero il loro primo ingresso in Italia. Grazie alla loro superiorita’ marittima riuscirono dapprima a penetrare la Sicilia, isolare la Sardegna, a mettere a ferro e fuoco tutto il sud, dalla Puglia al Lazio, e a penetrare il resto del Paese. Quello fu solo l’inizio di una serie di imprese che intensificarono la propria intensita’ nel 1500, favorite dalla debolezza del Regno di Napoli. A testimonianza del grande impatto nella storia e cultura locale rimangono oggi molte tradizioni popolari e diverse eredita’ architettoniche. Viaggiando sulle coste italiane sono visibili numerosi resti  di torri di avvistamento utili alla difesa contro le incursioni dal mare.  Gli scontri contro i turchi-saraceni, inoltre, occupano una parte importante del folklore locale. Famosissima e’ la celebrazione di Ferragosto a Messina, in cui i cosidetti ‘due giganti’ vengono portati in processione per le vie della citta’, commemorando un evento storico avvenuto nel 1190. A tal proposito, si dice che i messinesi siano figli di una coppia mista, interraziale e interreligiosa. La leggenda narra che ai tempi delle invasioni saracene in Sicilia un Moro si innamoro’ di Mata, figlia del signorotto locale. Fu allora che lo straniero rapi’ la fanciulla e ne chiese la mano. Dopo varie peripezie vennero celebrate le nozze e il Moro fu ribattezzato in Grifo, poi rinominato Grifone data la stazza imponente. A quel punto la coppia lavoro’ per fondare Messina e per popolarla di discendenti.  Sempre in Sicilia nella provincia di Agrigento sorge uno dei luoghi piu’ suggestivi della regione, la Scala dei Turchi, noto per la sua bellezza naturale. Nel ‘500 il luogo fu il punto di approdo dei Turchi che, agevolati dalla conformazione geografica della costa, riuscirono facilmente a penetrare le zone limitrofe. Certamente questi sono solo alcuni semplici esempi, ma forse i piu’ celebri, dell’importante incontro culturale tra le due sponde del Mediterraneo. Anche dall’altra parte dello Stretto, in alcuni borghi della Calabria, permane la tradizione dei giganti e la memoria storica delle incursioni e’ indelebile. Ogni anno a inizio maggio a Tropea, in provincia di Vibo Valentia,  con rulli di tamburi e parate storiche si ricorda la cacciata dei pirati turchi da  parte di valorosi paesani, che nel 1571 durante la battaglia di Lepanto andarono in aiuto  della Chiesa di Roma e riuscirono ad avere la meglio sui nemici. Non vi e’ dubbio che per la Calabria, come per tutto il meridione, le invasioni saracene abbiano rappresentato uno shock culturale. In fondo in quel periodo le popolazioni locali vivevano prevalentemente sulle zone costiere, prive di fortificazioni  e difese. La Calabria, pur essendo l’ultimo lembo dell’Impero Bizantino, soffri’ da subito di una certa emerginazione e non ricevette adeguata protezione. A differenza della Sicilia, dove si miro’ ad imporre una certa organizzazione amministrativa, nella penisola calabrese gli attacchi saraceni furono vissuti come un tentativo di sfruttamento dei territori e di sudditanza della gente locale. Il ricordo nell’immaginario popolare e’ ancora estramamente vivo: ‘Lo nero periglio che viene dal mare’ riporta a un mondo esterno fatto di pericoli. Tuttavia, a tale influenza si deve anche l’ arricchimento culturale negli usi e costumi, ma anche nelle cucina locale: ne sono esempi la conservazione di alcuni alimenti, l’etimologia di certe parole e diverse pratiche quotidiane. Insomma, e’ qui che il Mediterraneo, fino ad allora Mare Nostrum, ha iniziato a subire, seppur a costo di molto sangue, il fascino dell’Oriente.

 

A cura di Valeria Giannotta



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