Turchia chiama Italia
L'amore per una terra lontana con radici Ottomane. La storia di Angela Gurgo di Castelmenardo
Ci sono legami talmente forti che spesso non rispondono ad alcuna legge, se non a quella del cuore e della discendanza famigliare. Quella che vi proponiamo e’ la testimonianza di Angela Gurgo di Castelmenardo, di professione medico cardiologo, il cui rapporto con la Turchia trascende la semplice passione, ripercorrendo le proprie origini. La scelta stilistica di riportare per la prima volta l’intero racconto della protagonista e’ dettata dalla profondita’ di pensiero e parole che non sarebbero altrimenti adeguatamente sintetizzabili. Con estrema pacatezza e nobilta’, Angela ci introduce in un mondo intimo, ma altrettanto connesso con il mondo, mettendo in risalto i preziosi pezzi di un mosaico di grande intensita’ visiva e valoriale. A Lei va sin da ora il nostro piu’ sentito grazie per condividere un po’ di se’, permettendo di adagiarci nell’ascolto di una storia profonda, e per le attivita’ che porta avanti con grande entusiasmo promuovendo la conoscenza di Istanul e della Turchia in Italia.
‘Il legame che mi unisce alla Turchia e a Istanbul in particolare, è un legame familiare. Il mio nonno materno, Kâmil, era turco, di Istanbul, e apparteneva ad una importante famiglia ottomana (suo padre, Mehmet Alì Bey, era stato un uomo politico molto impegnato negli ultimi anni dell’Impero Ottomano che, all’apice della sua carriera, aveva ricoperto la carica di ministro dell’Interno) che, con l’avvento della Repubblica era stata costretta all’esilio e così, come le tessere di un puzzle che la storia si fosse divertita a sparpagliare, i componenti della famiglia si ritrovarono dispersi in varie parti del mondo. Purtroppo non ho conosciuto mio nonno, ma sin da bambina ho ascoltato attraverso la voce di mia madre i racconti della sua infanzia nella villa di Büyükdere, sulle rive del Bosforo, ho conosciuto le vicende e le abitudini della sua famiglia. Quando eravamo piccoli, mia madre raccontava a me e ai miei fratelli, insieme alle favole di Pollicino e Cappuccetto Rosso, anche le storie di Nasreddin Hoca. Quindi posso dire di aver conosciuto la Turchia sin da piccola, prima ancora di averla visitata ed io, che mi sento un po’ come un albero che per crescere trae la linfa dalle proprie radici, ho sempre coltivato in me l’amore per questa terra lontana dove mio nonno non era più riuscito a tornare. Ho nutrito questo amore leggendo molti libri che mi hanno aiutata ad entrare sempre di più nello spirito turco e quando finalmente mi sono sentita pronta, verso i venti anni, insieme a mia sorella, sono partita per quello che sarebbe stato il primo di una lunga serie di viaggi in Turchia, ma soprattutto a Istanbul. In tutti i viaggi successivi, fatti quasi sempre da sola, ho approfondito la mia conoscenza della città e ho capito che per me non è solo bellissima, ricca di fascino, grondante di storia ma è il mio luogo dell’anima, io lì finalmente mi sento bene. Camminando nelle sue strade, entrando nelle sue moschee, percorrendo i viali alberati del cimitero di Eyüp o semplicemente sedendomi su una panchina di Eminӧnü, con accanto a me uno di quei grandi cani gialli con la targhetta all’orecchio, mi pervade una sensazione di benessere, mi sento a casa. Tante volte fermandomi ad ammirare il panorama del Bosforo o il profilo delle moschee di Sultanahmet, o il traffico delle imbarcazioni sul Corno d’Oro, o percorrendo il lungomare da Ortakӧy a Bebek, mi sono ritrovata a rivolgermi a mio nonno Kâmil in un dialogo silenzioso che potevamo sentire solo io e lui e a dirgli: “Ecco nonno, ora ci sono io a tornare nella città che tanto hai amato e che non hai più potuto rivedere. Ora ti presto i miei occhi per ammirare questi panorami meravigliosi, ora puoi tornare ad ascoltare attraverso le mie orecchie il richiamo alla preghiera dei muezzin che rimbalza da un minareto all’altro”. Dopo ciascuno dei miei viaggi, al rientro sommergevo amici e parenti con i miei racconti entusiastici e subito iniziavo a progettare un nuovo viaggio. Sempre più spesso c’era qualcuno che mi chiedeva. “Ma cosa ha questa città di tanto straordinario che ti ha stregata?”. Forse proprio per rispondere a questa domanda, nel 2016 ho scritto un piccolo libro, una sorta di raccolta di appunti di viaggio dove poter fermare emozioni, impressioni e raccontare piccoli episodi. A questo libriccino ho dato nome “Istanbul: innamorarsi di una città”. Poi, al solo scopo di pubblicizzare questo libro, ho deciso di costituire un gruppo Facebook, al quale all’inizio avevo invitato a partecipare solo un centinaio di persone fra parenti e amici. Poi, nel giro di qualche mese, mi sono accorta, con grande sorpresa, che molte persone chiedevano di iscriversi al gruppo ed erano desiderose di condividere le proprie esperienze, la propria passione, i propri consigli con altre persone innamorate, come loro, di Istanbul. Quando, ben presto, il gruppo ha superato i mille iscritti decisi di modellarlo come fosse un mio grande salotto dove poter accogliere tutti coloro che come me amano Istanbul, al di là del tempo e della storia. Innanzitutto ho posto poche chiarissime regole: - Non si deve andare fuori tema, il gruppo è dedicato unicamente a Istanbul, - non si affrontano argomenti politici, - non sono ammesse offese o parolacce. Volevo che il gruppo fosse il più inclusivo e tollerante possibile e che accogliesse tutti, come fa Istanbul, indipendentemente dalla religione, dalla razza, dall’orientamento politico. C’è una frase bellissima di Rumi che amo molto, che recita: “Al di là delle idee, al di là del giusto e dell’ingiusto, c’è un campo, incontriamoci là”. Ecco, vorrei che il mio gruppo fosse quel campo. Quindi quando modero il gruppo, nel tempo che riesco a ritagliare al mio lavoro di cardiologo ospedaliero, cerco di essere aperta ad ogni tipo di intervento: condivisione di esperienze di viaggio, consigli di lettura, segnalazioni di articoli o di mostre, spunti musicali. Cerco di dare spazio ad interventi colti ma anche, detestando ogni forma di snobismo intellettuale, consentendo conversazioni più leggere e rilassate, come per esempio commenti sulle dizi, le soap opere turche. Spesso faccio dei sondaggi dando spazio all’opinione di tutti in modo che tutti possano sentirsi protagonisti e partecipi del grande successo del gruppo. In cinque anni siamo arrivati a superare i 13.000 membri e ancora cresciamo di giorno in giorno. Io assisto incredula a questa evoluzione inaspettata e ne sono felice. Ogni tanto, in questi anni ho organizzato dei momenti di incontro in modo che la nostra conoscenza potesse diventare non solo virtuale ma si potesse concretizzare in incontri reali. Il primo anno, una piccola rappresentanza del nostro gruppo, ha assistito ad uno spettacolo di Serra Yılmaz a Roma, poi, per due anni di seguito, con la collaborazione di Osman, un cuoco turco che vive a Roma, abbiamo organizzato una cena turca per tutti gli iscritti riscuotendo un grande successo. Purtroppo, poi il Covid ci ha bloccati ma, da qualche mese, abbiamo ripreso ad incontrarci in gruppi molto piccoli grazie all’organizzazione di un salotto letterario, un luogo dove, partendo dallo spunto dei libri, ci ritroviamo a parlare di Istanbul. Da poco, realizzando quello che da sempre era stato un mio sogno nel cassetto, ho allestito nel Rione Monti, nel pieno del più autentico centro storico di Roma, un piccolo spazio, “Il mio piccolo rifugio turco” dove ho sistemato tutti i miei libri che riguardano la Turchia – sono centinaia – libri di autori turchi o comunque ambientati in Turchia e spaziano dai gialli ai libri di storia, dai romanzi ai libri di viaggio, dai libri di cucina alle poesie. In questo “piccolo rifugio turco” nel cuore di Roma ci ritroviamo noi amanti di Istanbul. Negli anni non mi è più bastato solo la lettura dei libri per penetrare meglio nello spirito di Istanbul, quindi ho intrapreso lo studio del turco e così, grazie anche all’aiuto dei social, ho conosciuto molti amici turchi che vivono a Roma e molti italiani che come me amano la Turchia. Pur essendo il mio cuore rapito da Istanbul, ho comunque fatto dei viaggi meravigliosi in Turchia. Ho girato estasiata per la Cappadocia, viaggiato attraverso le pianure dell’Anatolia, ho visitato la costa di Antalya e il suo entroterra arrivando fino all’incantevole Myra, patria di San Nicola (il nostro Babbo Natale); sono stata a Izmir, ho ammirato le rovine di Efeso, sono rimasta abbagliata davanti al candore delle cascate di Pamukkale e soprattutto ho amato Konya, il monastero di Jalaluddin Mevlana Rumi con il suo meraviglioso minareto turchese, dove si respira ad ogni passo lo spirito di Rumi, spirito di tolleranza, di fratellanza e di apertura agli altri. Viaggiare in Turchia mi ha sicuramente fatto conoscere molto meglio tutte le sfaccettature del popolo turco, perché un paese non è solo edifici, ponti, strade, natura ma è anche il suo popolo e , come dice Yahya Kemal nel suo libro “Aziz Istanbul”, a Istanbul c’è una perfetta corrispondenza e una pura armonia fra paesaggio, architettura e popolo. Negli anni ho conosciuto le abitudini dei turchi, il loro carattere, il loro spirito fatalista che anche io condivido e soprattutto ho potuto toccare con mano la straordinaria ospitalità di questo popolo. Non ci sono parole per poterla descrivere, per questo citerò un piccolo episodio di cui sono stata protagonista in uno dei miei primi viaggi a Istanbul: Mi trovavo davanti all’ingresso del Gran Bazar, di fronte alla mosche Nuruosmaniye e volevo raggiungere la moschea di Solimano ma con la mappa non riuscivo ad orientarmi. Provai a chiedere a qualche negoziante, ma a quel tempo non conoscevo il turco e non riuscivo a farmi capire, quando da un lato, all’improvviso, spuntò un anziano signore che portava dei pacchi della spesa e conosceva un po’ di inglese. Con un sorriso gentile mi fece segno di seguirlo e, a passo deciso, iniziò il cammino. Entrammo nel Gran Bazar come sempre brulicante di gente e mentre l’anziano signore fendeva la folla, io arrancavo dietro di lui cercando di non perderlo di vista, uscii dal Gran Bazar ci trovammo a piazza Beyazit, da qui svoltammo a destra, percorremmo una lunga strada in salita, io un po’ ansimante ma la mia guida sempre in piena forma, strada facendo mi indicava fiero ora una moschea, ora l’università finché finalmente arrivammo in cima alla collina dove si erge maestosa la moschea di Solimano. Salutai grata il mio accompagnatore e gli chiesi: “Lei abita qui vicino?” e lui, con un sorriso disarmante mi rispose: “No, io abito dove ci siamo incontrati” e, di buona lena, prese la strada del ritorno.’’
A cura di Valeria Giannotta