Arte d'Ebru

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Arte d'Ebru

Dipingere sull’acqua: l’arte dell’Ebru

Secondo un proverbio russo, le parole a vànvera sono “scritte con una forchetta sull’acqua”.
Ma in Turchia non è così.
Non una forchetta, ma due bastonicini di metallo sono strumenti usati per dipingere sull’acqua: un’arte particolare, chiamata Ebru, da una parola persiana.
A differenza delle parole a vànvera dette in Russia, i dipinti dell’Ebru non sono effìmeri: vengono passati come un riflesso su carta, cartone, tessuti, persino su vetro o ceramica.
E’ un’arte antica, che come in un gioco di specchi riflette le intenzioni dell’artista e i risultati della sua abilità.
La tecnica è peculiare, e richiede una incredibile precisione di movimenti.
L’artista intinge i bastoncini nella pittura e lascia cadere una goccia del colore scelto sulla superficie dell’acqua.
A causa della differenza di densità tra i due liquidi, la pittura galleggia e si espande. L’artista deve essere tanto abile da dosare la quantita per decidere la larghezza e lo spessore della macchia di colore ottenuta.
Poi lavorando con i bastoncini modella la forma della macchia di colore.
Nuove gocce e nuovi colori aggiunti ai primi, modellano altre forme, fino ad ottenere il soggetto finale.


A quel punto, con molta delicatezza, un foglio di carta viene accuratamente posato sulla superficie dell’acqua.
Poi l’artista lo prende per un margine, e lo solleva, lasciandolo scorrrere sul bordo della bacinella, per separare l’acqua dalla pittura superficiale.
Il foglio viene lasciato asciugare, e il miracolo dell’Ebru è avvenuto ancora una volta.
Il segreto è nell’acqua: con una preparazione che dura più di dodici ore, viene mescolata ad alcuni ingredienti particolari, tra cui l’adragànte, una résina naturale usata anche come addensante in pasticcerìa.
Lo scopo è aumentare la densità dell’acqua e ottenere una forte tensione superficiale, che possa sostenere la pittura senza farla mescolare.
I colori usati invece sono esclusivamente di origine minerale, per cui possono galleggiare in superficie, e poi fissarsi sulla carta, mantenendo il grado di opacità che avevano sull’acqua.
Solo per i dipinti destinati ad essere fissati sui tessuti si usano colori sintetici, che abbiano tutte queste caratteristiche, ma possano anche resistere ai lavaggi.
L’Ebru è nata probabilmente in Asia Centrale, ed è quindi legata da sempre alle origine dei nomadi Turchi che migrarono verso l’Anatolia.
Qui, nell’epoca d’oro dell’Impero Ottomano, si sviluppò, si raffinò e divenne elegante: i ricchi mercanti e i dignitari del Sultano introdussero la moda di scrivere lettere su fogli di carta decorati con l’Ebru.


Gli Ebruli, i Maestri dell’arte, erano rispettati come artisti e studiosi.
Intorno a loro nacquero vere e proprie scuole, e i soggetti dei dipinti vennero codificati.
I pensatori islamici riconobbero le innumerevoli metàfore nascoste nell’Ebru, che diventò l’arte favorita di molti mistici e filosofi.
Il tulipano, simbolo dell’età dell’oro dell’Impero Ottomano, divenne uno dei soggetti preferiti degli Ebruli.
La bellezza e le colorazioni del fiore, l’immenso valore di alcune varietà ma soprattutto l’unicità dello stelo, forte e diritto, divennero una metafora religiosa sull’Unicità di Dio.
Nell’Islam i ritratti di Dio, come anche della figura umana, creata a Sua immagine, sono inesistenti perché considerati offensivi.
Al tempo stesso, però, l’arte e la bellezza riflettono l’opera del Creatore, quindi concepire arte e riprodurre bellezza equivale a rendere lode alle Sue azioni.
La forma e la dimensione di una goccia, casuali quindi donate dal divino, vengono poi guidate dalla mano dell’Uomo in forme e colori, che ritraggono la bellezza del Creato, e insegnano a riconoscere la grandezza del Creatore.
Così l’Ebru, nata nelle steppe dell’Asia, divenne un’arte Islamica per eccellenza.
I fiori, non solo i tulipani, sono tra i soggetti più diffusi, e più difficili.
Vedere un Ebruli al lavoro dà un’idea sbagliata: i movimenti sono fluidi, naturali e decisi, ma non perché siano facili.

 


La minima esitazione o un tremito della mano possono rovinare la precisione delle linee, e a differenza della pittura su tela, non c’è modo di correggere l’errore, e l’intera opera è rovinata: un’altra metafora della vita.
Gli allievi che imparano cominciano con il soggetto più diffuso: il “Battal”, spesso usato come sfondo per fiori o altre immagini.
Si comincia spruzzando le gocce di pittura con un pennello, di vari colori, e poi riducendo o ingrandendone le forme, per armonizzarle secondo una trama.
Una variante del “Battal” più difficile è lo “Şal”, che l’allievo affronta quando impara a modificare le forme secondo volùte e spiràli, come avvolgendo uno scialle.
Occorre anche un anno, sotto la guida del Maestro, prima che un allievo possa cominciare a cimentarsi con i fiori, e molti anni prima che si possano tentare soggetti originali: non a caso i Maestri Ebruli sono poche decine in tutta la Turchia.
Con il declino dell’Impero Ottomano, anche l’arte decadde. Verso la metà del Diciannovesimo secolo l’Ebru, che aveva impreziosito le lettere dei Sultani, divenne una forma d’arte povera per ornare rilegature di libri e quaderni.
In quel periodo si diffuse anche in Europa, dove la “marmorizzazione”, una tecnica simile, veniva usata per decorare locali e chiese che non potevano permettersi il marmo.
Oggi con la riscoperta delle tradizioni l’Ebru sta destando molto interesse. Corsi per amatori sono diffusi in ogni paese della Turchia, e molti dei Maestri dirigono scuole affollate.
Ad ogni occasione culturale ci sono mostre e dimostrazioni, e il futuro dell’Ebru sembra roseo.
In una significativa ironia della Storia, quella che era l’arte dei mistici e dei filosofi oggi viene anche usata come terapia antidepressiva, per aiutare persone con disturbi psichici e bambini autistici.
Nella storia millenaria dell’Ebru, questa è una nuova evoluzione: sicuramente i mistici Ottomani avrebbero saputo leggervi una profonda metafora.


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